Esiste davvero una cosa chiamata “Tech Industry”?

Abbiamo letto come ad inizio 2020, Alphabet - ovvero l’azienda che normalmente chiamiamo Google - è stata l’ultima corporate ad unirsi al “club delle quattro virgole”, ovvero al ristretto numero di aziende che valgono più di un trilione di dollari. Insieme alle altre aziende statunitensi che fanno parte del club - Apple, Amazon e Microsoft - è responsabile del 17% del valore creato dalle 500 società a maggiore capitalizzazione quotate al NASDAQ. 

Ad una lettura veloce, questo dato sembra confermare un giudizio diffuso: il “tech” è un settore industriale in enorme crescita, e va considerato come un settore produttivo separato dagli altri.

A nostro avviso - e non solo, visto che condividiamo dei dati raccolti da Dealroom e Applico - il fenomeno andrebbe invece inquadrato in un altro modo. 

A nostro avviso, quello del “tech” non dovrebbe più essere considerato un settore a parte, ma come una caratteristica di alcune aziende che appartengono trasversalmente a tutte le industries.

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Probabilmente, ad un certo punto non troppo distante nel tempo, accadrà quello che è successo con il settore dei trasporti ferroviari, e si dovrà smettere di pensare alle Tech Company come ad un gruppo di aziende che hanno creato un nuovo settore produttivo in un determinato momento storico. Si diventerà invece capaci di individuare, all'interno di ognuno dei grandi settori merceologici, quali sono le grandi aziende che sono state capaci di proporre nuovi modelli di business basati sulla tecnologia.

Prendiamo come esempio proprio Google.

Il motivo per il quale l’azienda è riuscita ad unirsi alle altre enormi aziende, è l’aumento del suo valore. È però interessante notare, come gran parte di questo valore, sia attribuibile ad attività svolte da Google in settori non tech. Ad esempio almeno 100 miliardi di dollari di valore si possono ricondurre direttamente a Waymo, che non ha nulla a che fare con motori di ricerca o pubblicità, ma è un player posizionato in mercato “classico” come quello dell’automotive. I suoi clienti sono General Motors, Volvo e Stellantis.

Almeno altrettanto valore va attribuito a Youtube, che di nuovo sfrutta internet come tecnologia, ma è tranquillamente definibile come una azienda attiva nel settore dei media. 

Quindi Google è una azienda tecnologica certo, ma comunque ha almeno due business unit che valgono una gran parte dell'azienda, e che operano in altri settori tradizionali, e nei quali sono entrate proponendo un business model nuovo, abilitato dalla tecnologia. 

Quindi, forse, è più corretto pensare a Google - ed alle Big Co del futuro - non come ad aziende attive in un verticale, ma come aziende che propongono in settori diversi dei nuovi modelli di business abilitati dalla tecnologia.

Detto questo, la domanda più importante da farsi è forse questa: che cosa hanno in comune questi nuovi modelli di business? Forse una risposta pienamente soddisfacente non c’è ancora. Di sicuro, quello che non si può ignorare, è che la maggior parte di queste iniziative di business si posizionano sul mercato come piattaforme, ovvero come iniziative aperte, che generano enorme valore per tutti i player dell’ecosistema e che non fanno che catturare una parte del valore creato. Sono marketplace, canali di distribuzione, sistemi operativi, che riescono ad aumentare esponenzialmente il loro valore a mano a mano che altri soggetti economici si appoggiano a loro.

Forse il segreto delle future aziende che entreranno nel club “delle quattro virgole” sarà proprio questo: realizzare le piattaforme alle quali si appoggeranno i settori produttivi che ancora non sono pienamente digitalizzati.