Il ruolo del Timing nel lancio di un nuovo prodotto sul mercato

Come innovatori ci chiediamo spesso come fare a lanciare il prodotto o servizio perfetto per il mercato. Per fare questo, cerchiamo di intervenire su ogni singolo fattore possibile. Che cosa stiamo inserendo nel mercato? Dove? A chi è destinato?  Quando?

Ecco: oggi vogliamo concentrarci proprio sul quando. Su quello che gli anglosassoni chiamano il timing.

Ha veramente un ruolo nella riuscita di una nuova iniziativa imprenditoriale?

Uno spunto interessante per rispondere a questa domanda ce lo fornisce Bill Gross, un imprenditore con esperienza ventennale che ha fondato Idealab, ovvero l’incubatore tecnologico più longevo della storia.

Idealab dalla nascita ad oggi ha aiutato a formarsi più di 150 aziende, portandone più di 45 ad IPOs e acquisizioni. (fonte: idealab.com)

Costruendo questo impero, Gross ha avuto un punto di vista privilegiato nel capire quali sono i fattori che possono determinare il successo o il fallimento di una nuova impresa. E qualche anno fa ha deciso di razionalizzare quello che aveva imparato presentando al pubblico una ricerca molto interessante, di cui potete trovare un estratto a questo indirizzo: 

Gross ha deciso di comparare aziende e startup, sia interne ad IdeaLab che esterne, valutando i 5 fattori che aveva individuato come determinanti:

  • L’idea, il valore che il prodotto, e quindi l’azienda intende trasferire al mercato

  • Il team, ovvero, il gruppo di innovatori che cerca di introdurre la novità sul mercato

  • Il BM (business model), ovvero un modello che descrive le logiche secondo le quali l'organizzazione crea, distribuisce e raccoglie il valore.

  • Il funding, la capacità di trovare dei fondi per lo sviluppo del prodotto e il mantenimento dell’azienda

e il Timing: ovvero il “momento storico” nel quale il prodotto viene presentato. E’ troppo presto per questa idea e il mondo non ne è pronto? è il momento giusto? è troppo tardi, e il mercato è già saturo di competitors?

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I fattori alla base del successo (e del fallimento)

Partendo da questi assunti, l’imprenditore ha studiato 200 aziende, 100 appartenenti a Idealab e 100 esterne, classificandole e dando loro dei punteggi in corrispondenza di ognuna di queste dimensioni.

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Quindi, quale fattore influenza maggiormente il successo? Secondo lo studio di Gross il timing, con un punteggio di 42%, seguito dal team al 32% e dall’idea con un 28%.

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Questo risultato ha sorpreso molto Gross, che si aspettava scoring bassi da parte del BM (molte startup non ne hanno uno quando iniziano, e lo sviluppano strada facendo una volta che hanno compreso i bisogni reali dei loro clienti e come meglio raggiungerli sul mercato) e dal funding (al giorno d’oggi esistono svariati modi per ottenere finanziamenti esterni: business angel, incubatori ed acceleratori, bandi, crowdfunding ecc, e nell’era della tecnologia una volta guadagnata una certa traction dal mercato i fondi sono più facilmente reperibili). Immaginava anche, grazie alla sua esperienza ventennale nell’accelerazione di startup, l’importanza del team (ovvero la capacità di un gruppo di persone di lavorare in modo coeso verso un unico obiettivo), ma il fatto che l’idea arrivasse solo in terza posizione lo stupì abbastanza. 

L’idea è spesso vista come punto focale di un prodotto, ma come dimostrato dallo studio eseguito da Gross, e come vedremo meglio negli esempi di seguito anche un’ottima idea può non bastare se il tempismo in cui si immette sul mercato è sfasato rispetto alla capacità recettiva dei clienti.

Esempi di Tempismo perfetto

Prendiamo ad esempio AirBnB: inizialmente la startup venne ignorata perchè non si credeva che le persone fossero disposte ad affittare dello spazio nelle proprie case. Ma AirBnB uscì nel primo periodo di forte recessione negli Stati Uniti (fine 2007), quando le persone avevano la forte necessità di arrotondare i propri stipendi durante la crisi dei mutui, cosa che probabilmente gli permise di superare l’obiezione e lo scetticismo derivanti dall’ospitare degli estranei in casa propria. 

Lo stesso si può dire per Uber: nel momento in cui ha incontrato il mercato, stava crescendo il numero di persone che possedeva un’auto e stava cercando nuovi modi per fare dei soldi extra, oltre al proprio lavoro principale.

E dal lato opposto, ovvero dalla parte di chi NON ha trovato il tempismo perfetto?

Troviamo ad esempio Z.com, una prima piattaforma di condivisione video online, nata nel 1999. L’idea era ottima e con un mercato potenziale enorme, aveva un solido Business Model e anche i finanziamenti necessari, ma il timing non risultò essere quello corretto: il 1999 era ancora troppo presto per questo tipo di tecnologia, la penetrazione della banda larga era ancora molto bassa, era troppo complicato guardare video online e i programmi di codifica video erano ancora troppo poco sviluppati.

Sfortunatamente, l’azienda ha chiuso nel 2003.

Due anni dopo, quando il problema del Codec era stato risolto da Adobe Flash e la penetrazione della banda larga superò il 50% negli Stati Uniti, YouTube ebbe il tempismo perfetto per diventare la piattaforma che tutt’oggi conosciamo. Non aveva un Business Model, i fondatori non erano neanche sicuri di come avrebbe potuto funzionare sul lungo termine una piattaforma di questo tipo, ma il tempismo è stato ineccepibile.

Aspettare la tecnologia giusta, oppure il problema giusto?

Decidere se un prodotto è pronto per essere accolto dal mercato è ovviamente molto difficile. Questo perchè l’unica vera risposta la può fornire soltanto il mercato stesso, ed a volte è impossibile testare l’efficacia della propria soluzione su un campione molto piccolo di utenti.

E’ il caso ad esempio di Vivino, un’app che permette di scattare foto alle bottiglie di vino per ottenere recensioni e prezzi all’istante, che ad oggi conta circa 30 milioni di download.

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Heini Zachariassen, uno dei founders, ne parla in una recente intervista. “Avevo avuto l’idea già da un po’ di tempo, ma il momento non era quello giusto”, sostiene Zachariassen, sottolineando che ha dovuto aspettare fino al 2010, ovvero fino al momento in cui la maggior parte delle persone si è dotata di smartphone. Soltanto in quel momento infatti, è diventato possibile scattare una foto ad una bottiglia di vino, in un supermercato, e spedirla tramite internet a “qualcuno” che guida l’acquisto.

E’ interessante notare che si è trattato di sicuro di un cambiamento tecnologico, ma non solo. Perchè insieme alla tecnologia è cambiato anche il comportamento delle persone. Improvvisamente è nato un nuovo problema che prima non veniva minimamente percepito, ovvero quello di avere un “sommelier in tasca”.

Quando i fondatori hanno iniziato a pensare a questa nuova piattaforma, sapevano che esistevano sul mercato già oltre 600 app per appassionati di vino, ma nessuna che risolvesse lo stesso problema: sapere quale bottiglia scegliere quando ci si trova davanti ad uno scaffale pieno al supermercato. 

Eppure l’idea era semplice, ovvero fare per i vini quello che per i ristoranti, i film e i libri già accadeva da tempo: ottenere critiche istantanee online da parte di altri utilizzatori. 

Zachariassen spiega che i primi passaggi furono incentrati sulla creazione di un repository di immagini e informazioni riguardo le bottiglie di vino, lanciando un concorso online in cui le persone potevano inviare foto delle loro marche preferite in cambio di un cavatappi. Una volta raccolto un buon numero di dati, il team ha sviluppato e lanciato un primo prototipo di app. 

Questo, unito ad una grande conoscenza dei bisogni dei clienti ed uno sforzo continuativo nel raccogliere nuovi dati (ad oggi l’azienda conta 130 dipendenti impegnati nel reperimento dei dati dispiegati in 3 Paesi) ha permesso a Vivino di diventare un punto di riferimento per gli amanti del vino in tutto il mondo.

Quindi: l’esecuzione conta, ma il tempismo ancora di più. Sono pronti, i tuoi clienti, ad adottare il tuo nuovo servizio?