In viaggio verso il product-planet fit

In viaggio verso il Product-planet fit: una breve storia delle innovazioni che hanno fatto crescere aziende e aiutato il pianeta

A questo punto dello sviluppo tecnologico e economico, gli esseri umani possono - e devono - creare delle aziende che raggiungano il profitto senza rovinare l’ecosistema nel quale vivono.

Devono insomma cercare di ottenere quello che noi in The Doers chiamiamo product-planet fit, ovvero una compatibilità duratura fra i prodotti che creano e il benessere dell’ambiente. 

Ormai non è più un'opzione, ma una necessità, e alcune volte può diventare persino un vantaggio competitivo.

Per farlo, può essere utile lasciarsi ispirare dai tanti successi commerciali “green” di cui è piena la Storia. Alcune volte sono stati creati nuovi materiali, altre volte nuove tecnologie, altre ancora nuovi modelli di business.

In ogni caso, dal dopoguerra in poi, il panorama economico è ricco di storie imprenditoriali che possono indicarci la via corretta da seguire. Eccone alcune.


Anni 50: le luci dimmerabili riducono il consumo di energia elettrica

Negli anni 50 del secolo scorso Joel Spira, Fisico americano, improvvisò un laboratorio nella stanza degli ospiti di casa propria per testare la possibilità di interrompere il flusso di elettricità di una lampadina. Il suo interesse non fu motivato da temi ecologici o ambientalisti. Spira desiderava creare ambienti confortevoli, in cui gustarsi un cocktail, anche attraverso un’illuminazione curata. Dopotutto, si parla pur sempre del periodo del boom economico, durante il quale gli Americani avevano cominciato ad acquistare case nuove, organizzare party e a godersi musica d’atmosfera.

Dedicò molto tempo ai suoi studi, finché realizzò l'interruttore dimmer per luci a stato solido (che ora fa parte della collezione dello Smithsonian Institution come una delle icone nella storia dell'elettricità).

L’Azienda Lutron, fondata da Spira e dalla moglie Ruth Rodale, può vantarsi di aver dato una mano all’ambiente. Infatti gli oltre 15.000 prodotti creati per il controllo dell'illuminazione, permettono ai clienti di risparmiare circa 1 miliardo di Dollari l’anno sui costi dell’energia elettrica (in media circa il 3% in bolletta).

Oltre che essere un vantaggio per il portafogli dei suoi clienti, la tecnologia ha anche aiutato l’azienda a prosperare economicamente.

da Market Research Future

da Market Research Future

Anni 60: gli scarti del legno diventano Oriented strand board

Negli anni 60 del secolo scorso, in California, Armin Elmendorf inventò un tipo di pannello realizzato attraverso l’incollaggio e la compressione di scaglie di legno di forma irregolare: l’Oriented strand board, conosciuto come OSB. La possibilità di crearlo attraverso gli scarti della lavorazione del legno lo rese sin da subito un materiale con un ridotto impatto ambientale, che venne molto apprezzato in diversi ambiti.

Oggi viene usato come rivestimento o per realizzare complementi di arredo,e in bioedilizia viene scelto perché permette di progettare case in modo sostenibile usando un materiale di origine naturale, riciclabile e a basso impatto ambientale.

I pannelli OSB sono molto resistenti e vengono realizzati, soprattutto in Canada e Nord-America, con il legno di alberi cresciuti rapidamente e in modo sostenibile (il pioppo tremulo, il pino giallo meridionale e alcune specie di latifoglie).

Il prezzo basso, il fatto che, generalmente, contiene meno formaldeide del compensato e la sua duttilità (può essere tagliato e posato con le stesse attrezzature utilizzate per il legno massello) lo rendono un prodotto molto richiesto. Nel 2020 si stima che siano stati prodotti più di 31 milioni di metri cubi di OBS. Se si considera un costo di produzione medio di 35 € al metro cubo, si può calcolare la dimensione del mercato, e capirne la magnitudo.

Anni 70: i materiali termoisolanti abbattono l’inquinamento termico

Il poliuretano è stato inventato nel 1937 da Otto Bayer, Chimico industriale tedesco. Da allora è stato adattato in diversi ambiti produttivi (tappezzeria, materassi, tappi per le orecchie, adesivi, sigillanti speciali e imballaggi).

Di fatto ha sostituito la gomma, troppo costosa e difficile da ottenere.

Il poliuretano in versione schiuma per l'isolamento degli edifici, così come la conosciamo noi, vede la luce nel 1979.

Nel tempo è diventato uno dei prodotti per l'isolamento più utilizzato in campo edile. In italia ad esempio, è un materiale largamente citato anche nel Decreto Rilancio 2021 - Ecobonus, che si propone di avere un forte impatto sulla costruzione o sulla ristrutturazione delle abitazioni. 

Possiamo indicare la schiuma di poliuretano, quindi, come esempio virtuoso: grazie al suo ottimo coefficiente termico riesce da un lato a ridurre del 50% l’impatto del riscaldamento abitativo sul pianeta, dall’altro a creare enormi vantaggi economici.

Si prevede infatti che il mercato delle schiume poliuretaniche - solo negli Stati Uniti - crescerà da 37,8 miliardi di dollari nel 2020 a 54,3 miliardi di dollari entro il 2025.

da Market Research Future

da Market Research Future

Anni 80: arrivano gli HFC e i fluidi refrigeranti che non bucano l’ozono

Pochi settori sono stati mossi dalla volontà - o dall’obbligo - di ridurre l’impatto ambientale come quello della refrigerazione. Fino agli anni 30, tutte le sostanze utilizzate come refrigeranti per frigoriferi e condizionatori d'aria erano tossiche e potenzialmente esplosive. In quegli anni la General Motors chiese a Thomas Midgley, ingegnere e chimico statunitense, di studiare una sostanza non tossica e sicura da utilizzare nei frigoriferi domestici come refrigerante. Midgley scoprì il diclorodifluorometano (CFC), che venne prodotto dalla DuPont col nome commerciale di Freon, e si impose molto rapidamente come lo standard di mercato.

Il 16 maggio 1985 però, un gruppo di scienziati pubblicò su Nature un articolo in cui si affrontava, per la prima volta, un tema che sarebbe diventato molto dibattuto: il ruolo del CFC nella creazione del buco nell’ozono.

Nel 1987 il protocollo internazionale di Montréal metteva al bando la produzione e l'uso di gas CFC, e dava impulso ad un nuovo prodotto: gli HFC, ovvero una classe di Freon, priva di cloro, che non rappresenta un problema per l'ozono.

Ma l’impatto ambientale è comunque, ancora oggi, troppo alto.

Gli HFC infatti non sono sostanze lesive per l'ozono, ma sono comunque dannosi per l’effetto serra, poiché contribuiscono al riscaldamento globale. 

Per questo, a partire dal 2019, i paesi sviluppati hanno iniziato a limitare il consumo di HFC puntando ad una riduzione dell'85% entro il 2036, rispetto ai valori medi annui del 2011-2013.

Una nuova normativa, un nuovo aiuto per il pianeta, ed una nuova occasione commerciale.

Anni 90: il formato Mp3 cambia la musica e riduce la sua impronta di carbonio

Negli anni 90 una nuova tecnologia capace di comprimere l’audio in file informatici di dimensioni estremamente contenute venne messa a punto dal Moving Picture Experts Group (MPEG). Era un gruppo composto da esperti internazionali, guidato dall’ingegnere piemontese Leonardo Chiariglione e da Hiroshi Yasuda, che stavano per rivoluzionare il mondo della musica con l'introduzione di MPEG-1, MPEG-2 e MP3.

Le aziende che ne hanno tratto vantaggio sono tante. Su tutte forse, ha senso citare la Apple che con il suo slogan “1000 canzoni nella tua tasca” lanciò sul mercato l’iPod ottenendo un successo commerciale incredibile.

La tecnologia, anche se in modo indiretto, ebbe un impatto molto forte anche dal punto di vista ambientale. Nel giro di pochi anni, infatti, l’industria musicale venne stravolta e le canzoni iniziarono ad essere distribuite online, e non più su un supporto fisico come il CD.

Questa fu un’ottima notizia per il pianeta: iI Cd, come del resto i Vinili di ultima generazione, sono realizzati in PVC, un materiale che impiega secoli a dissolversi nell’ambiente e che ha un’impronta di carbonio* molto alta. La loro delicatezza li rende facilmente deteriorabili, e spesso tra l’acquisto e il loro arrivo in discarica passa pochissimo tempo, con effetti negativi sull’ambiente.

 

*parametro che stima le emissioni di gas serra causate dal ciclo di produzione di un prodotto o di un servizio

Anni 00: il ritorno delle auto elettriche riduce l’impiego di combustibile fossile

L’invenzione dell’auto elettrica è frutto di una serie di scoperte - dalla batteria al motore elettrico - che nel 1800 portarono alla messa in strada del primo veicolo.

Tra Europa e Stati Uniti molte aziende si cimentarono nella creazione delle prime auto elettriche su piccola scala e di fatto, la prima auto elettrica di successo fece il suo debutto intorno al 1890 grazie a William Morrison, un chimico dell’Iowa.

Nei primi anni del 1900, le auto elettriche erano al loro apice e rappresentavano un terzo di tutti i veicoli in circolazione. 

Fu il Modello T, un prodotto in serie di Henry Ford, a dare un duro colpo all'auto elettrica. Introdotto nel 1908 rese le auto a benzina ampiamente disponibili e convenienti, e nel corso dei successivi 30 anni circa, il mondo dei veicoli elettrici entrò in un periodo buio.

Durante gli anni 70 l'aumento dei prezzi del petrolio e la carenza di benzina hanno motivato un crescente interesse nel trovare fonti di carburante alternativo.

Molte case automobilistiche grandi e piccole hanno iniziato a progettare un ritorno all’auto elettrica.

Il lancio del primo modello di successo avvenne in Giappone nel 1997. La Toyota lanciò la Prius che in tre anni vendette circa 160.000 unità tra Giappone, Europa e Nord America. Divenne ben presto la più venduta tra le vetture ibride.

La Prius, nell’arco di circa vent’anni è passata da essere un “veicolo a emissioni ultrabasse” a diventare ”un’auto a zero emissioni”, aumentando le sue performance green, e aprendo la strada all’attuale, miliardario, mercato dell’auto elettrica.

Anni 10: nuovi materiali riducono la creazione di micro-plastiche

Negli anni ‘10 l’industria del packaging ha iniziato a trasformarsi radicalmente, e a compiere un grande passo avanti nella lotta all’inquinamento e alle micro-plastiche rilasciate nell’ambiente.

Fra i brand che propongono materiali alternativi alla plastica si è distinto Notpla, che produce un materiale al 100% biodegradabile che nasce dalla lavorazione dell’alga bruna. È flessibile e particolarmente indicato per il packaging, anche alimentare.

I prodotti Notpla si biodegradano naturalmente in 4-6 settimane, senza rilasciare veleni o contribuire ad inutili sprechi. 

L’impatto economico, nel caso di Notpla è difficile da quantificare, visto che di fatto è ancora una startup. Sono diversi però gli investitori che ci stanno puntando, e che hanno garantito all’Azienda 1.1 milioni di Dollari nel 2017 e 3.8 milioni nel 2020.

Anni 20: l’arrivo delle posate commestibili abbatte l’impatto ambientale della ristorazione

A volte ci sono dei settori merceologici che cambiano rapidamente non tanto grazie ad un'invenzione tecnologica, ma grazie ad una nuova sensibilità ambientale dei consumatori.

Uno di questi è quello degli accessori per la ristorazione, che sempre più sta scegliendo di utilizzare posate commestibili. 

Il mercato è cresciuto di pari passo con la sensibilità sui temi ambientali e l'aumento del reddito pro-capite mondiale, e si è diffuso al ritmo delle nuove abitudini alimentari, come ad esempio il vegetarianesimo ed il veganesimo.

Grazie alla rapida adozione da parte di hotel e catene di ristoranti il mercato è cresciuto notevolmente negli anni scorsi, soprattutto se si pensa ai grandi limiti imposti da questa scelta, come il fluttuare dei prezzi delle materie prime e l'alto costo delle farine naturali.

Anche se al momento non è presente un leader che sta monopolizzando il settore, possiamo citare diverse startup, ognuna delle quali di propone con un diverso slogan “green”. 

In Europa Kulero “rende conveniente la sostenibilità”, in Asia Crunch Cutlery ci “aiuta a mangiare il quantitativo ottimale di fibre consigliato”, negli Stati Uniti Incredible Spoon lavora per contribuire alla “riduzione delle micro-plastiche nell’Oceano”.

Forse questo della posateria commestibile sarà un trend di mercato passeggero. O forse no. Dopotutto, si pensava che lo fossero erano anche la luce dimmerabile e l’auto elettrica.

Chissà. Ce lo dirà il tempo.

Conclusioni

In questo articolo abbiamo raccolto alcune tecnologie che sono state utilizzate per ridurre l’impatto negativo dell'uomo sul pianeta terra, e che hanno fatto la fortuna di una o più aziende.

In questo modo abbiamo voluto sottolineare che fare azienda in modo sostenibile è possibile, e che può portare a dei risultati economici di tutto rispetto.

Vogliamo quindi fare un invito a chi si occupa di innovazione: oltre al product-market fit, cercate di ottenere anche il product-planet fit.