Qualche mese fa Brant Cooper, il CEO di Moves the Needle, ha intervistato Marco De Polo, ovvero una delle persone che in Roche si occupa di gestire l’innovazione. La chiaccherata - che trovate qui - è molto interessante, e fa luce sui processi di innovazione interna ed esterna di una grande corporate farmaceutica.
Gli inizi come manager dell’innovazione
De Polo è di origini svizzere ed inizia la sua carriera lavorando per un'azienda che si occupa di sviluppare sistemi di somministrazione di insulina per persone con il diabete di tipo 1.
Quando la sua azienda entra nell’orbita di interesse di Roche, De Polo riceve una richiesta da un collega che si occupa della comunicazione. Si tratta di confezionare la presentazione di un nuovo posizionamento del prodotto. Il suo lavoro viene presentato davanti agli executive di Roche, che lo apprezzano moltissimo.
Pochi mesi dopo De Polo è assunto in Roche con un ruolo particolare, che gli permette di lavorare sia con l'innovazione tecnologica che con quella di mercato: diventa Head Global Strategic Insights & Open Innovation at Roche Diabetes Care.
“La prima grande sfida aziendale” dice il manager “è stata quella di uniformare il linguaggio. Una volta, se si chiedeva a 50 persone diverse quale era strategia di innovazione aziendale, si ottenevano 50 risposte diverse. E lo stesso accadeva quando ci si ponevano domande importanti come: quali sono i problemi dei clienti? di che cosa hanno bisogno? quali sono le loro difficoltà?”
“A tutte queste domande” continua De Polo “venivano date delle risposte diverse. Uniformare il linguaggio ha reso possibile ottenere un grandissimo vantaggio competitivo, ovvero una enorme accelerazione del processo decisionale. Per un'azienda è terribilmente difficile accelerare il processo di presa di decisione se le persone non usano un linguaggio comune”.
Il Customer Opportunity Development
Uno snodo importante del lavoro di De Polo è stata l’introduzione in azienda di un concetto particolare: il Customer Opportunity Development. Si tratta di un processo che permette di produrre molto velocemente degli insights che riguardano il cliente e il suo contesto. L’obiettivo è quello di scoprire un bisogno che è ritenuto dal cliente molto importante, ma che attualmente è scarsamente soddisfatto dalle soluzioni sul mercato.
Il primo passo di questo processo è fondamentale: si tratta di segmentare il mercato non in base a dei criteri demografici o psicografici, ma in base ai bisogni. Questo tipo di segmentazione, permette al team di innovazione di capire quando un mercato è overserved o underserved, e quindi gli permette di individuare delle nuove opportunità di business.
Il ruolo dell'esperienza
“Il nostro processo” continua il manager dell’innovazione “continua a migliorare a mano a mano che aumenta la nostra esperienza. Ad esempio, abbiamo imparato che quando le persone, durante le interviste, utilizzano i termini particolari come Io odio la soluzione x, molto probabilmente siamo di fronte ad una opportunità. A quel punto iniziamo a chiedere: che cosa vuol dire odio? perché provi dell’odio? in che occasione precisa provi dell’odio? In genere l'output è una ricerca che ha diversi livelli di informazione. Il livello principale è quello di bisogni, al quale si aggiunge il livello dei comportamenti, e quello del contesto sociale ed economico. Alla fine di questo processo abbiamo un ritratto molto preciso di quella persona e di che cosa vuol dire per lei vivere con il diabete. E questo accade perché abbiamo sviluppato una grande esperienza nell’applicare il processo”.
L’Open Innovation in Roche
De Polo affronta poi il tema dell’Open Innovation: “Quella dell’Open Innovation è una nuova funzione che sto creando da zero per l'azienda. L'obiettivo è quello di inseguire il maggior numero di opportunità che mergono dal processo di Customer Opportunity Development.
Ci capita spesso infatti di individuare dei problemi che riguardano i nostri clienti ma con i quali non abbiamo familiarità, o non abbiamo una tecnologia, o non abbiamo l’esperienza necessaria. Oppure possiamo incappare in un problema di business che è particolarmente al di fuori della nostra zona di comfort.
Ecco, in tutti questi casi, vogliamo avere accesso alle capacità giuste al momento giusto e quindi l'unico modo per farlo, è quello di accedere a delle risorse esterne all'azienda.
Capita che, se non troviamo le capacità necessarie internamente all’azienda, cerchiamo il co-sviluppo all’interno dell’ecosistema delle startup.
In particolare, il Business Development si occupa delle partnership, e si concentra su modelli di business che già esistono e che hanno dimostrato di funzionare.
Quello che invece facciamo con la funzione di Open Innovation, è cercare due cose. Da un lato delle soluzioni il più possibile plug'n'play, con le quali sfruttiamo il brainpower di persone esterne. Dall’altro lato cerchiamo di fare incubazione di aziende che sono alla ricerca di nuovi modelli di business”.
Cambiare il mindset
A volte Roche utilizza risorse esterne anche per accelerare lo sviluppo delle soft skill dei suoi dipendenti.
“Ad esempio” dice il manager svizzero “abbiamo assunto un gruppo di experience designer che hanno spiegato a gran parte dell'azienda che i prototipi sono estremamente utili, ma esclusivamente nel caso in cui servano a testare rapidamente delle ipotesi di business. Altrimenti è uno spreco. In passato abbiamo fatto un sacco di prototipazione inutile.
Questi sono concetti molto facili da comprendere in astratto, ma molto difficili da far funzionare in pratica. Nel nostro caso l’ostacolo non è la mancanza di un processo, ma la mancanza di un determinato mindset, che ti suggerisce di chiederti continuamente: che cosa sto cercando di ottenere?”.
Il messaggio con cui chiude De Polo ci sembra un ottimo consiglio anche per altri manager dell’innovazione: “A volte i miei colleghi mi chiedono di fare delle ricerche, ed io gli ricordo che il loro obiettivo non deve essere quello di fare delle ricerche, ma quello di scoprire delle cose nuove su i clienti, per poter poi prendere delle decisioni di business migliori”.