di Cosimo Panetta, Partner @ The Doers
Verso l’inizio degli anni 90 lavoravo in una società che si occupava di consulenza e formazione su sistemi CAD/CAM/CAE (Computer-Aided Design-Manufacturing-Engineering).
Il “digital computing” era nato già da diversi anni ma possiamo attribuire la data di nascita dei veri e propri sistemi CAD nel 1963, da parte di Ivan Sutherland (presso il Massachusetts Institute of Technology ) che sviluppò il sistema Sketchpad.
Si trattava di un sistema sperimentale che consentiva al progettista di disegnare su un monitor a raggi catodici con una penna ottica.
Le prime applicazioni commerciali del CAD si ebbero negli anni ’70 in grandi aziende elettroniche, automobilistiche, aerospaziali e navali. Venivano impiegati computer mainframe e terminali grafici vettoriali.
Negli anni ’80 vennero sviluppati sistemi CAD per microcomputer. Tali sistemi erano ancora molto limitati o molto costosi, e comunque molto difficili da usare: per cui venivano usati solo da aziende medio-grandi o da professionisti.
Finalmente negli anni ’90 la semplificazione nell’uso del computer — dovuto alla diffusione delle interfacce utente grafiche — e l’abbassamento dei costi dell’hardware hanno reso i sistemi CAD alla portata di tutti i professionisti, e delle aziende.
Quindi si potrebbe pensare che dopo circa 30 anni le aziende avessero avuto modo di valutare con serietà e attenzione i benefici che l’adozione dei sistemi CAD avrebbe comportato all’interno dei propri processi e in particolare:
Generazione automatica di Bill of Material
Riduzione dei tempi in attività ripetitive
Possibilità di standardizzazione
Controllo delle interferenze
Calcolo di percorsi utensili (CAM)
Calcoli di ingegneria (CAE)
Quindi: siamo agli inizi degli anni 90 e una primaria azienda ci richiese una consulenza finalizzata a selezionare il sistema CAD per loro più adeguato — a quale hardware, quali periferiche — e inoltre anche un piano di formazione delle loro risorse .
Era un investimento importante, scegliemmo gli uffici , definimmo il sistema (scelto sulle base delle legacy di mercato in cui operava) l’hardware (workstation SUN e Apollo) e progettammo un percorso di formazione, 2D-3D, CAM.
Cosa successe dopo?
Pensate che i nuovi prodotti venissero progettati e realizzati da questa nuova struttura?
Che ci fosse un piano per integrare i processi?
Pensate che se ne parlasse durante le riunioni di direzione?
C’era qualcuno incaricato che si interessava all’integrazione di queste tecnologie con altre che stavano emergendo?
C’era un vero budget per tutte queste attività?
C’era un sistema di controllo specifico?
No, niente di tutto questo! Quel bellissimo ufficio CAD era stato concepito e realizzato per essere “mostrato” durante le visite dei clienti, insomma era stato compiuto quello che io chiamo un teatrino.
Il management aziendale aveva pensato che fosse sufficiente fare degli acquisti tecnologici per essere innovativi, e non che la tecnologia era solo un abilitante messo a disposizione per costruire una propria innovazione.
Quindi la parte mancante è quella che non si può acquistare, ma quella che bisogna costruire giorno dopo giorno con disciplina e serietà, per far si che risorse specifiche attraverso processi definiti, possano generare un valore per l’azienda che si possa trasformare in vantaggio competitivo e possibilità di crescita futura.
Ora mi chiederete cosa c’entra tutto questo con l’innovazione. O forse qualcuno ha iniziato a rendersi conto che spesso quello a cui assistiamo è il “teatrino dell’innovazione”, in cui sembra che l’unico scopo sia quello di “mostrarsi innovativi”, tanto all’interno dell’azienda quanto all’esterno.
Oggi assistiamo a numerosi casi, non tutti, in cui l’hype mediatico ha spinto l’azienda ad “acquistare” una serie di strumenti o iniziative per rendersi più innovativa.
Tra i principali hype del momento possiamo elencare:
Innovation lab
Call for ideas
Hackathons
Startup competition
Innovation tour
Organizzazioni esponenziali
Digital transformation
Lean startup
Open Innovation
Design thinking
Tutte cose che in assenza di una vera strategia rischiano di essere un fiume di denaro che non genererà valore. Finita l’euforia e il budget oggi allocato, si inizieranno a tirare le somme, e a quel punto saranno dolori per l’intero ecosistema (anche questo è un hype).
Se alla fine di tutto ciò l’azienda non sarà stata in grado di generare un nuovo prodotto o servizio, un nuovo processo, degno di questo nome che possa contribuire alla crescita dell’azienda, verrà decretato che l’innovazione non serve, l’innovazione non è per noi, che serve solo a quelli che fanno delle app in ambito digitale, e peggio di tutto non ci si avvedrà che questa nuova ondata possa essere una leva su cui agire affinchè si possa mantenere un vantaggio competitivo oggi e generare opportunità di crescita per il domani.
Quindi cosa occorre fare?
La prima risposta onesta è non lo so, non ci sono ricette, non abbiamo una storia che dimostri ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma penso che alcuni principi possano essere condivisi. In particolare, prima di far partire qualsiasi iniziativa, l’azienda dovrebbe:
Formulare una strategia per l’innovazione in cui esprima chiaramente che pensa di far crescere la propria quota di mercato o di profitti attraverso l’innovazione di prodotto e di servizio o di modello di business.
DIchiarare se le startup possano entrare a far parte di questa strategia e come
Definire esattamente come coinvolgere il personale interno avendo cura di coinvolgere e allineare tutte le funzioni manageriali coinvolte.
Definire i KPI per monitorare lo sviluppo dell’innovazione
Dotarsi di metodi e processi specifici
Capire l’ambiente culturale della propria azienda individuando i fattori bloccanti e quelli abilitanti
Capire che non tutte le organizzazioni sono adeguate per ogni tipo di innovazione
Il vantaggio competitivo è sempre stato di natura temporanea, ma solo in questi ultimi decenni il suo perimetro si è ristretto vertiginosamente. L’innovazione è quell’unico processo che mantiene un’azienda sul mercato, l’unico in grado di trasformarla continuamente nel competitor di sè stessa. Perchè a sopravvivere nel tempo non è il prodotto, nè le competenze chiave, nè a volte l’organizzazione, ma il valore, creato in modi sempre diversi e sempre contemporanei. Per questo l’innovazione è una cosa seria. Forse la sfida più seria, e più difficile, adesso.
La capacità di trasformare il proprio modello di business, e ancor più di controllarne la trasformazione in modo sistematico, non produce un’azienda più bella da mostrare, o più facile da gestire, adesso. Produce un’azienda si cui si parlerà ancora tra 10 anni.
P.S. non sarà per quello, ma l’azienda a cui facevo riferimento è poi finita rovinosamente male.